L’argomento del dimagrimento localizzato è a tutt’oggi molto controverso e dibattuto. I metodi per combattere il grasso localizzato normalmente comprendono approcci dietologici, trattamenti medico- estetici e attività fisica mirata ad una zona target.

I trattamenti medico-estetici (da quelli più  invasivi  come la liposuzione fino a quelli più recenti e meno invasivi come la cavitazione ultrasonica) producono, senza dubbio, risultati in quanto agiscono direttamente sul tessuto adiposo localizzato.

Per quanto riguarda invece i trattamenti estetici, che spesso prevedono la combinazione di principi attivi lipolitici o drenanti con macchinari e metodologie in grado di favorire la circolazione a livello locale, esistono meno evidenze scientifiche che risultano,  tuttavia,  apprezzabili dal punto di vista osservazionale.

E’ altresì ormai universalmente riconosciuto il fatto che determinate prevalenze ormonali favoriscono l’accumulo di grasso distrettuale (per es. cortisolo nella schiena, insulina nell’addome, estrogeni nei glutei e regione peritrocanterica e bassi livelli di testosterone con aumento di grasso viscerale – “Variazione della composizione corporea e valutazione della localizzazione del grasso in relazione ai livelli di testosterone, cortisolo e 17 beta estradiolo”- Angelozzi A. Botta G. , Spattini M. –  Università degli Studi di Milano).

Dato che la manipolazione dell’assunzione dei macronutrienti , sia in senso quantitativo che temporale, è in grado di influenzare le secrezioni ormonali (concetti della DIETACOM o Cronormorfodieta) è ovvio che una dieta che tenga conto di questi concetti possa promuovere il dimagrimento localizzato.

Se le evidenze scientifiche dimostrano che diverse morfologie necessitano di approcci nutrizionali differenziati, la Cenerentola del dimagrimento localizzato è sempre stata l’attività fisica, nonostante sia  la principale ragione per la quale le persone praticano esercizio fisico e vanno in palestra.

I gestori e gli istruttori delle palestre possono confermare che l’obiettivo di una grande fetta degli utenti è il dimagrimento in determinate zone del corpo e la tonificazione.

L’individuo obeso cerca il dimagrimento soprattutto tramite l’approccio dietologico a volte estremo e/o un’attività fisica di supporto generalizzata, mentre colui che ha solo il problema di grasso localizzato cerca più spesso la soluzione tramite strategie di attività fisica mirata, come per esempio l’esecuzione di centinaia di sollevamenti del busto per dimagrire nell’addome.

Ma nelle stesso ambiente del fitness a livello internazionale l’opinione prevalente è che ciò non sia possibile e questo emerge chiaramente digitando il termine “spot reduction” su un motore di ricerca.

La ragione principale per la quale il dimagrimento localizzato è ritenuto irrealizzabile dipende dal fatto che gli acidi grassi utilizzati a scopo energetico dal muscolo provengono da due fonti: 1) dal grasso intramuscolare 2) dal sangue che apporta gli acidi grassi derivanti anch’essi dalla nutrizione e dalla lipolisi del tessuto adiposo indotta dagli ormoni che agiscono sui depositi di grasso tramite la circolazione sanguigna.

In parole povere  il dimagrimento localizzato direttamente prodotto dall’attività fisica può solo riguardare il grasso intramuscolare e non il grasso sottocutaneo del tessuto adiposo sovrastante l’area muscolare allenata.

Lo studio scientifico utilizzato per avvallare  l’incidenza della “spot reduction” (F. Ketid e W. McArdle. Nutrition, exercise and health. 1993) ha confrontato le pliche cutanee degli avambracci destro e sinistro in giocatori di tennis ad alto livello, ed è stato assunto che lo spessore di grasso sottocutaneo nell’arto dominante maggiormente soggetto ad esercizio fisico non era significativamente diverso da quello sottocutaneo nell’altro arto meno utilizzato.

In realtà questo studio presenta molti limiti: primo fra tutti  la scelta del campione costituito da campioni ( scusate il gioco di parole) con una percentuale di grasso totale bassissima che si riflette senza alcun dubbio anche sullo spessore della plica, tra l’altro non certo sede di accumulo preferenziale anche per i soggetti sovrappeso (l’avambraccio) e quindi difficilmente in grado di evidenziare differenze significative.

Tuttavia, immediatamente dopo, nel 1994 , uno studio di Dussini et al (Multi factoral analysis of circuit training induced regional fat reduction. Eur. J Physiology 1994) riusciva a dimostrare l’efficacia di un particolare metodo di allenamento a circuito aerobico nella riduzione localizzata dell’adipe; metodo che viene appunto denominato SPOT REDUCTION.

Lo studio dimostrò che un circuit training coi pesi  che comprende esercizi specifici per determinate aree corporee, intervallato da esercizi aerobici su macchine di cardiofitness, senza recupero tra le serie, riusciva a ridurre le pliche nelle regioni allenate più di un allenamento aerobico tradizionale abbinato ad un allenamento coi pesi tradizionale.

Tali risultati sono passati quasi inosservati dal mondo scientifico internazionale per la scarsa reperibilità di questo studio, e sembra che il metodo sia stato riproposto e riadattato e diffuso limitatamente al territorio nazionale.

Dobbiamo aspettare il 2007 per vedere un altro studio al quale sia stato dato un risvolto internazionale anche sui media: lo studio di Bente Stallkecht et al. (Are blood flow and lipolisi in subcutaneous adipose tissue influenced by contraction in adjacent muscles in humans?- American j physiology endocrinology metabolism 2007).

Questo studio è stato condotto su 10 uomini a cui sono stati applicati dei micro cateteri nelle cosce per misurare il flusso sanguigno e la lipolisi del tessuto adiposo sottocutaneo.

L’allenamento sperimentale proposto consisteva in 15 minuti di riposo e 3 consecutivi periodi di estensione della gamba con il leg extension una sola gamba per volta.

I primi soggetti esercitarono una gamba per 30 minuti al 25% della loro forza massimale, dopo 30 min di riposo  l’altra gamba al 55% per 120 minuti e dopo altri 30 minuti di riposo esercitarono di nuovo la prima gamba, stavolta all’85% per altri 30 minuti.

La gamba che veniva esercitata presentava un flusso sanguigno maggiore  nel tessuto adiposo rispetto alla gamba a riposo.

La lipolisi risultava maggiore nella prima gamba (quella esercitata al 25% e all’85%), anche se nell’altra gamba il processo di lipolisi avveniva, ma in modo meno significativo.

Tutto ciò prova che uno specifico esercizio può indurre lipolisi localizzata e aumento del flusso sanguigno nel tessuto adiposo sovrastante il muscolo.

Ciò avviene poiché durante l’esercizio c’è un aumento di temperatura nel muscolo in contrazione e questo porta ad un incremento della temperatura nel tessuto adiposo adiacente il muscolo, tale aumento di temperatura permette un maggior afflusso sanguigno nel tessuto adiposo.

Personalmente nel 2013 ho condotto, con il dottor Paolo Luzi,  uno studio randomizzato  su 84 soggetti (Luzi P., Fiorilli A., Spattini M., – Dimagrimento localizzato: Studio clinico controllato – Università di Milano-  Interfacoltà Agraria – Medicina e Chirurgia- 2013) che è stato oggetto di mio articolo nel numero di marzo di Olympian’s e che ha portato alla conclusione che il dimagrimento localizzato è possibile tramite un approccio nutrizionale personalizzato ed un allenamento che stimola la circolazione sanguigna in maniera specifica nelle aree target.

In effetti, recenti ricerche sull’obesità hanno dimostrato che il flusso sanguigno è strettamente correlato con l’accumulo di grasso localizzato.

L’eccesso di grasso locale aumenta quello che viene denominato “grasso perivascolare”, ovvero il grasso dentro le arteriole. Un eccesso di questo grasso produce molecole di segnale che interferiscono con l’insulina e alterano il flusso sanguigno nelle arteriole in risposta all’insulina.

Ciò vuol significare:

  1. Se si aumenta di grasso in una determinata zona del corpo, più facilmente l’eccesso di carboidrati e lipidi sarà accumulato come grasso in quella regione;
  2. Questo implica una stretta correlazione tra vasodilatazione e accumulo di grasso localizzato.

La ricerca scientifica suggerisce che ci sia una relazione tra l’eccesso di grasso localizzato, che altera la vasodilatazione delle arteriole, e la promozione del grasso localizzato. Per tale ragione il processo di dimagrimento è svantaggiato nelle aree dove c’è più grasso.

Le nuove ricerche sulla vasodilatazione e sull’accumulo di grasso suggeriscono che le aree del corpo dove è accumulato più tessuto adiposo hanno un’alterata vasodilatazione che rende più difficile lo smaltimento del grasso in quell’area.

È ormai dimostrato che la riduzione del flusso sanguigno nel tessuto adiposo è una delle cause maggiori della limitata mobilizzazione del grasso. In un recente studio pubblicato su The Journal of Physiology, è stata provata l’esistenza di un ormone, l’angiotensina II,  prodotto dal tessuto adiposo in grado di ridurre l’afflusso di sangue al tessuto adiposo stesso e causare la compromissione del flusso sanguigno nutritivo, e inibire la combustione dei grasso nel tessuto adiposo e nel muscolo scheletrico oltre che causare resistenza insulinica. I livelli di angiotensina II sono aumentati dal cortisolo, dal fumo, dalle diete ad alto contenuto di grassi saturi e dagli estrogeni.

Una volta il tessuto adiposo era visto come un deposito di grasso; tuttavia è stato chiaramente dimostrato che esso produce una varietà di ormoni e sostanze chimiche che esercitano molteplici effetti.

Il tessuto adiposo è altamente vascolarizzato e contiene molti vasi sanguigni, il che significa che ha un ricco apporto di sangue. Nel tessuto adiposo bianco la vascolarizzazione è maggiore che nel tessuto muscolare, ed inoltre il flusso sanguigno di tale tessuto non è costante, ma aumenta nei periodi di stress (dieta o esercizio), quando la necessità di mobilizzazione dei lipidi aumenta.

In paragone con altri tessuti corporei, il tessuto adiposo bianco può cambiare drasticamente la dimensione cellulare nel tempo relativamente  all’apporto calorico di una persona.

La creazione di grasso nuovo è sempre accompagnata da un aumento dei vasi sanguigni, tenendo presente che l’allargamento dei vecchi adipociti non produce alcun cambiamento nella formazione dei vasi sanguigni.

Sia l’allargamento, sia la mobilizzazione del grasso sono strettamente controllati dalla fornitura di sangue all’adipocita.

Per riuscire a bruciare il grasso corporeo il tessuto adiposo deve essere in grado di rilasciare nella circolazione i trigliceridi immagazzinati.

A questo punto è ovvio costatare che l’elemento maggiormente determinante il dimagrimento localizzato è il flusso circolatorio del sangue.

Tanto è vero che a parità di stimolo adrenergico localizzato indotto dalla stimolazione muscolare si è riscontrato un maggior dimagrimento localizzato negli schemi di allenamento che prevedevano un circuit training misto aerobico-anaerobico che favorivano la circolazione (vedi studi Dussini e Luzi).

L’elemento principale che viene trasportato nel sangue è ovviamente l’ossigeno che è l’elemento chimico essenziale per la maggior parte dei processi legati alla vita.

L’ossigeno è indispensabile per riuscire a bruciare i grassi a scopo energetico i quali  possono seguire questo loro destino metabolico preferenziale solo in sua presenza, cioè in maniera aerobica all’interno del mitocondrio nel ciclo di Krebs.

Ebbene considerando quindi il grasso localizzato e ancora di più la cosiddetta cellulite (pannicolopatia fibroedematosa sclerosante) un danno ipossico ogni presidio favorente l’apporto di ossigeno a livello del tessuto adiposo ne migliorerà la lipolisi.

Di conseguenza anche l’utilizzo di integratori in grado di aumentare la disponibilità di ossigeno a livello cellulare, come il deuterio solfato, o di promuovere la circolazione, come il picnogenolo, trovano il loro razionale di utilizzo.

Ma questa è un’altra storia … !

OLYMPIAN’S – maggio/giugno 2014